Giulia Beccaria
Giulia Beccaria, primogenita di Cesare Beccaria e Teresa Blasco, nacque a Milano nel 1762. Trascorse l’infanzia (e come lei la sorella Marietta, gracile e rachitica, di quattro anni più piccola) allevata dai servi di casa, in quanto i genitori conducevano una vita mondana, dispendiosa, costellata di viaggi e feste, totalmente priva del senso della famiglia. A 12 anni, dopo la morte della madre di “male celtico” (sifilide), Giulia venne rinchiusa in convento e lì fu praticamente dimenticata. Solo Pietro Verri (economista e filosofo), amico di famiglia, ogni tanto andava a trovarla in parlatorio; fu lui che quando la ragazza raggiunse i 18 anni sollecitò il padre a riprenderla in casa.
Giulia era una bella ragazza, robusta, intelligente, di carattere forte e deciso. Presto ebbe violenti contrasti con il padre e si innamorò di Giovanni Verri (fratello minore di Pietro), uomo elegante e “sfaccendato”; ma di matrimonio fra i due non era il caso di parlare, lei non era sufficientemente ricca. Essendo però per Cesare Beccaria molto importante liberarsi di questa “scomoda” figlia, in poco tempo individuò (grazie anche all’aiuto di Pietro Verri) un gentiluomo di campagna, il Conte Pietro Manzoni, desideroso di sposarsi. Aveva cinquantasei anni, era vedovo, senza figli, viveva insieme alle sue sette sorelle(di cui una ex monaca) e aveva un fratello Monsignore. Non era ricco, ma aveva una piccola proprietà vicino a Lecco, e una triste, buia e umida casa sui Navigli dove abitava con le sorelle. Non fece troppe storie per l’assenza di dote da parte della ragazza; quanto a Giulia, pur di uscire dalla casa paterna, accettò subito. Pochissimo tempo dopo si celebrarono le nozze.
Il matrimonio si rivelò subito un fallimento. I litigi erano continui, sia fra i coniugi che fra le cognate; Giulia continuava a frequentare la bella e festosa casa Verri, e in particolare Giovanni. Tre anni dopo il matrimonio mise al mondo il suo primo ed unico figlio, Alessandro, che fu immediatamente mandato a balia a Malgrate, vicino a Lecco. Subito dopo, Giulia riprese la vita di prima. Interrotta la relazione con Giovanni Verri, ne ebbe una con un certo Taglioretti e, finita anche quella, conobbe Carlo Imbonati per il quale trovò il coraggio di separarsi legalmente dal marito Pietro Manzoni. La separazione fu accordata nel 1792 e poco dopo Giulia accompagnò il piccolo Alessandro (che dal tribunale era stato affidato al padre) al Collegio dei padri Somaschi; qui ve lo lasciò. Nel 1796 partì con l’Imbonati per Parigi, dove si sarebbe trasferita definitivamente.
A Parigi finalmente Giulia riuscì ad essere felice. Viveva con un uomo che amava, nobile di animo, di bell’aspetto, in una bella casa e frequentando persone colte e garbate. Il padre era morto e, dopo varie traversie legali e il successivo accordo con la matrigna, Giulia ereditò parte dei suoi beni (dopo la morte della sorella nel 1788, Giulia aveva inoltre intentato causa al padre per ottenere il diritto di successione nella quota dei beni della madre); cominciò piano piano ad apprezzare il suo cognome, essendo noto in tutti i circoli culturali e mondani il trattato scritto in gioventù da Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene. Fra gli amici più cari a Parigi c’erano Claude Fauriel (filologo, appassionato di botanica, interessato ad ogni branca del sapere umano, amico di Madame de Staël, Cabanis, Benjamin Constant e più tardi di Alessandro Manzoni) e Sophie de Condorcet, che come lei e l’Imbonati convivevano senza essere sposati. Al figlio Alessandro, lasciato in Collegio, Giulia non pensava, e non gli scriveva mai; faceva parte della sua vecchia vita buia, triste e spregevole.
Era il Marzo del 1805 quando l’Imbonati morì all’improvviso per una colica biliare; per Giulia fu un colpo tremendo. Poco prima della sua morte però l’Imbonati, attraverso l’amico Vincenzo Monti, era riuscito a contattare il giovane Alessandro mandandogli una lettera in cui lo invitava a Parigi. Aveva curiosità di conoscerlo, e forse sensi di colpa nei confronti di questo ragazzo che cresceva lontano e solo. Alessandro accettò l’invito, ma quando partì per Parigi nel Giugno dello stesso anno, l’Imbonati non c’era più. Fra Giulia e il figlio, che praticamente non si conoscevano, i sentimenti che prevalsero non furono tuttavia quelli negativi di rancore e senso di colpa, ma quelli positivi: la voglia di famiglia, l’amore tra consanguinei (esperienza che entrambi mai avevano sperimentato), l’entusiasmo del ritrovarsi. Per tutti e due iniziò un nuovo capitolo della propria vita. Alessandro cominciò ad amare la madre insieme a tutti quelli che lei amava, e che la frequentavano. Madre e figlio si erano ritrovati, e per sempre.
Giulia, entrando in pieno nel suo ruolo di madre, poco dopo il riavvicinamento col figlio iniziò a cercare moglie per Alessandro. La individuò nella sedicenne Enrichetta Blondel, una graziosa ragazza di religione protestante, dal carattere mite e accomodante che piacque molto anche ad Alessandro. Dopo le nozze, nel Febbraio del 1808, Giulia e i giovani sposi andarono a vivere per un po’ di tempo a Parigi, per poi tornare definitivamente in Italia. I primi anni vissero a Brusuglio, proprietà che Giulia aveva ereditato da Carlo Imbonati, e successivamente si trasferirono a Milano in via del Morone, in una casa acquistata con i soldi che Enrichetta aveva ereditato dopo la morte del padre.
Giulia visse in perfetta armonia con i coniugi e i nipotini, fino alla morte di Enrichetta, nel Natale del 1833. Il rapporto fra suocera e nuora fu sempre molto affettuoso, probabilmente per il buon carattere di Enrichetta, ma forse anche grazie al percorso religioso di avvicinamento alla fede cattolica che entrambe intrapresero (insieme anche ad Alessandro) e che creò tra loro una sorta di complicità, di comunione di vedute.
Poco più di due anni dopo la morte di Enrichetta, nel Gennaio del 1837, Alessandro si risposò. Giulia approvò in pieno la decisione del figlio, ma il bel rapporto che aveva instaurato con la prima nuora non si ripeté con la seconda, Teresa Borri. La nuova moglie di Alessandro, colta ed estroversa, era d’altronde anche ipocondriaca ed egocentrica, discuteva spesso con la suocera, tendeva ad escluderla dalla vita familiare, voleva Alessandro tutto per sé. Passarono così quasi cinque anni, che purtroppo non furono molto felici per l’ormai anziana Giulia. Nel Giugno del 1841 iniziò a star male, e nella notte tra il 7 e l’8 di Luglio morì. La seppellirono a Brusuglio, e il figlio scrisse la seguente epigrafe:
“A Giulia Manzoni
figlia di Cesare Beccaria
matrona veneranda
per altezza di ingegno
per liberalità coi poveri
per religione profonda attiva
dal figlio inconsolabile
da tutta la famiglia addolorata
raccomandata
alla misericordia del Signore
e alle preghiere dei fedeli”
Grazie mille Giulia Marucelli
per condividere con noi il prezioso frutto dei tuoi studi.
Un cordiale saluto,
Fabio